Il citato e ben motivato provvedimento del G.I.P., pur non distinguendo tra mlm lecito e vere e proprie vendite piramidali, presenta numerosi spunti d’interesse. In primis, infatti, si definisce compiutamente la struttura piramidale. La politica commerciale della società “Tucker S.p.A.” è impostata su una struttura di tipo “piramidale”, tecnicamente denominata “multi level marketing” (o anche “network”) che trae le sue origini geografiche negli Stati Uniti d’America ma che da diversi anni viene utilizzata anche in Italia da altre aziende che operano in diversi settori commerciali, come ad esempio “Amway”, “Herbalife”, “Millionaire” ecc.
Questo tipo di struttura consente a ciascuno dei propri aderenti di crearsi, nel suo interno, una propria personale rete di vendita con conseguente guadagno sia sul prodotto commercializzato (che può acquistare dall’azienda con sconti dal 20% al 40% a seconda del grado rivestito) che sulla “affiliazione” di nuovi aderenti che, sottoscrivendo a loro volta i contratti di “concessione di vendita” o “franchising”, entrano a far parte della suddetta rete consentendo la percezione di “provvigioni” secondo un meccanismo ben delineato (…). E’ chiaro che i maggiori notevoli guadagni che derivano da tale attività di affiliazione vengono conseguiti dall’azienda nonché dalle persone che all’interno della struttura rivestono le cariche più elevate ossia i primi aderenti al network oppure coloro che, per particolari capacità di affiliazione, sono stati in grado di risalire la struttura assumendo anche responsabilità dirigenziali, come si dirà.
Risulta anche evidente come in un tipo di struttura come quello del “multi level marketing”
c’è il rischio che il prodotto commercializzato possa in realtà assumere un importanza marginale rispetto all’attività di affiliazione, soprattutto se questo prodotto non rispetta le caratteristiche promesse e viene proposto come classico “specchietto per le allodole”. E’ facile, quindi, che ciascun aderente al “network” alla fine curi più l’aspetto dell’affiliazione di nuove persone, peraltro caldamente stimolato in tal senso dai vertici aziendali, che l’aspetto vero e proprio della commercializzazione del prodotto in quanto è sicuramente più remunerativo. Si tenga presente che a ciascun aderente, dopo essersi costituito una propria “rete” di collaboratori, basterebbe solo continuare l’opera di gestione degli stessi, con conseguente sollecitazione a far entrare, a loro volta, altre persone nel “network”, per garantirsi un notevole guadagno costituito dalle provvigioni.
Il G.I.P. riminese, dopo avere così definito il fenomeno, ritiene che lo stesso integri tutti i presupposti oggettivi del reato di truffa.
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